La Barcunata 15
Semplice, mansueto, vecchio mio,
insignificante borgo triangolare
che sovrasti la pace degli ulivi
e ti affacci solitario
balcone della Calabria,
accanto a Coppari,
fratello dagli occhi spenti
con la testa rasa,
sul celeste mare
del golfo di Sant'Eufemia.
Tu, pure senza chiome,
domini soltanto la sabbia,
dove spariscono le tue guglie d'acqua
dai molti nomi di favola
e si addormentano abbracciate,
per riapparire lontano
con nomi nuovamente suggestivi di lunga storia.
Paese di spine e di ortiche
che sferza il crudo vento di ponente,
dovrò recarmi un'altra volta almeno,
gli occhi aperti e i sensi ben desti,
da figlio innamorato, per succhiare
la vita alle tue pure gioie
di bellezze naturali e perenni,
al tuo paesaggio avventuroso e ardito,
o, altrove, pacato di presepe.
Patria mia lontana per altro amore,
mia terra bella e buona,
adagiata su un precipizio,
pronta a spiccare il volo,
sento aleggiarti intorno
gli spiriti dei Padri
del distrutto monastero.
Rivedo col pensiero
la grotta del Vizzarro,
le curve di Fàscina,
la casa dell'eco;
rientro
nel Santuario di MATER DOMINI,
oasi di pace, antenna di fede,
meta di pellegrinaggio.
E ti amo come creatura viva.
M'intenerisce un'onda di commozione
ricordando i nonni,
bianchi e trasparenti come alabastro
che hanno lavorato fino all'ultima ora;
pensando alla mamma,
prima maestra,
che mi ha dato ad altri, per sempre;
alla tua gente di gioia e fatica
che canta
anche se il male s'abbatte
nelle case e sulle piante;
alla tua gente vulcanica,
da le molte strade
legate dal nesso d'amore;
pia gente
che raccoglie il morsello di pane caduto.
Paesino mio nobile e dignitoso,
se hai incipriato un po' la faccia,
rinnova il cuore,
cessando le lotte di fratelli,
tu che hai gridato con me
al sole, al vento, alle stelle.